Ecco i 3 segnali che le tue preferenze lavorative stanno sabotando la tua carriera, secondo la psicologia

Ti è mai capitato di entrare in ufficio e pensare “cavolo, un’altra giornata uguale alle altre”? Oppure di trovarti a procrastinare proprio su quei progetti che dovrebbero entusiasmarti di più? Se hai annuito mentalmente almeno una volta, sappi che non sei solo. E soprattutto, sappi che quello che stai vivendo potrebbe essere molto più significativo di una semplice giornata storta.

La scienza del lavoro ha scoperto qualcosa di incredibilmente interessante: le ancore di carriera, teorizzate per la prima volta da Edgar Schein nel 1978, non sono solo dei capricci o delle simpatie casuali. Sono veri e propri predittori di come andrà la nostra carriera. E quando ignoriamo i segnali che ci mandano, rischiamo di sabotare il nostro stesso futuro professionale senza nemmeno rendercene conto.

Secondo uno studio condotto da Coetzee, Schreuder e Tladinyane nel 2014, le nostre preferenze lavorative profonde hanno un impatto statisticamente significativo su tre aspetti cruciali: quanto ci impegniamo sul lavoro, quanto siamo soddisfatti di quello che facciamo e quanto performiamo bene. In parole semplici: quello che ti piace fare e quello che eviti come la peste stanno letteralmente costruendo o distruggendo la tua carriera.

Cosa sono davvero le “ancore di carriera” e perché dovresti conoscerle

Prima di tutto, facciamo chiarezza su questo concetto che sembra uscito da un manuale di psicologia ma che in realtà è semplicissimo da capire. Le ancore di carriera sono quelle preferenze profonde che guidano le nostre scelte lavorative, spesso senza che ce ne accorgiamo.

Pensa a quel collega che sembra nato per gestire team e che diventa strano quando deve lavorare da solo per troppo tempo. Oppure a quella persona del tuo ufficio che si illumina quando deve risolvere problemi tecnici complicati ma si spegne completamente durante le riunioni di brainstorming creativo. Ecco, quelle sono le ancore di carriera in azione.

Il problema è che molte persone non hanno la minima idea di quali siano le proprie ancore. E questo, secondo la ricerca scientifica, è un problema serio. Quando c’è un disallineamento tra quello che siamo veramente portati a fare e quello che facciamo ogni giorno, iniziano a manifestarsi dei segnali di allarme molto specifici.

I segnali che il tuo cervello ti sta mandando

La letteratura sulla crisi di mezza età lavorativa ha identificato alcuni sintomi ricorrenti che dovrebbero far suonare tutte le sirene mentali. E attenzione: non stiamo parlando di avere una giornata no ogni tanto. Stiamo parlando di pattern che si ripetono nel tempo.

Il primo segnale è il calo di motivazione cronico. Non quella pigrizia del lunedì mattina che conosciamo tutti, ma quella sensazione persistente di dover trascinare i piedi verso l’ufficio. Secondo gli studi di Maslach e Leiter, quando c’è un mismatch tra le nostre predisposizioni e le attività che svolgiamo quotidianamente, il cervello letteralmente riduce l’energia che dedica a quelle attività.

Il secondo segnale è ancora più paradossale: la resistenza al cambiamento, anche quello positivo. Quando siamo intrappolati in situazioni che non ci soddisfano profondamente, tendiamo a resistere anche alle opportunità che potrebbero migliorare la nostra condizione. È un meccanismo di difesa: se non riusciamo ad allineare quello che facciamo con quello che vogliamo veramente, diventa più sicuro restare nella zona di comfort.

Il terzo segnale è quello che gli esperti chiamano “assenteismo strategico”. Il tuo corpo è più intelligente di quanto pensi: quando la mente non riesce a gestire il disallineamento, il corpo inizia a “protestare” con mal di testa che arrivano proprio nei giorni più importanti, influenze che durano più del normale, quella stanchezza inspiegabile che ti colpisce sempre negli stessi periodi.

Quando le tue preferenze diventano le tue peggiori nemiche

Ma ecco il plot twist che nessuno si aspetta: a volte il problema non è che ignoriamo le nostre preferenze, ma che siamo troppo attaccati a un’idea rigida di quello che “dovremmo” volere. La ricerca di Willner, Lipshits-Braziler e Gati ha messo in luce un fenomeno interessante: quando le nostre preferenze sono basate su aspettative irrealistiche, diventano ostacoli invece che guide.

È quello che succede quando vogliamo disperatamente il lavoro creativo ma odiamo l’incertezza economica. O quando desideriamo l’autonomia ma ci spaventa la responsabilità. In questi casi, le nostre preferenze diventano quello che gli psicologi chiamano “prigioni dorate”: ci tengono intrappolati in un limbo di insoddisfazione cronica.

Il concetto di “identity foreclosure”, studiato da James Marcia già nel 1966, spiega come a volte ci chiudiamo prematuramente verso opportunità diverse rispetto ai nostri preconcetti su chi dovremmo essere professionalmente. È come essere innamorati dell’idea di essere innamorati, invece che della persona reale che abbiamo davanti.

Il lato oscuro del burnout che nessuno ti racconta

Tutti parlano del burnout come se fosse causato semplicemente da troppo lavoro. Ma la ricerca scientifica racconta una storia diversa e molto più complessa. Gli studi più recenti mostrano che il burnout si manifesta più frequentemente quando c’è una disconnessione prolungata tra le nostre esigenze profonde e quello che facciamo ogni giorno.

In altre parole: il burnout non è sempre causato da troppo lavoro, ma spesso dal tipo sbagliato di lavoro per la persona sbagliata. È il risultato di aver ignorato troppo a lungo quei segnali sottili che ci stavano dicendo che qualcosa non funzionava nel nostro approccio professionale.

I sintomi sono ben documentati: distacco emotivo dal lavoro, sensazione di inefficacia, crisi di autostima professionale e progressivo isolamento dai colleghi. Ma quello che è ancora più interessante è che questi sintomi spesso precedono di mesi o anni il burnout vero e proprio. Sono come le spie rosse sul cruscotto della macchina: se le ignori, prima o poi il motore si rompe davvero.

Come diventare detective della tua stessa carriera

Ora che abbiamo identificato il problema, è tempo di passare all’azione. Ma non si tratta di fare l’ennesimo test della personalità trovato online. Si tratta di sviluppare una vera competenza nell’autoanalisi professionale, basata su metodi che hanno solide fondamenta scientifiche.

Il primo strumento è quello che possiamo chiamare “pattern recognition emotivo”. Inizia a tracciare i tuoi momenti di massima energia e quelli di massimo drenaggio durante la giornata lavorativa. Non limitarti ai compiti ovvi: analizza anche le interazioni sociali, l’ambiente fisico, il tipo di problemi che ti vengono sottoposti.

  • Ti senti energizzato quando lavori su progetti con scadenze molto strette o ti senti completamente svuotato?
  • Ti piace mediare i conflitti tra colleghi o li eviti come se fossero radioattivi?
  • Preferisci presentazioni davanti a 50 persone o conversazioni uno-a-uno?
  • Ti danno energia i dati e i numeri oppure le storie e le persone?

Il secondo strumento è l’analisi delle “micro-scelte quotidiane”. Le preferenze più profonde si rivelano nelle piccole decisioni che prendiamo ogni giorno senza nemmeno pensarci. A che ora del giorno programmi le call più importanti? Quali email rimandi sistematicamente e quali invece rispondi subito? Quando proponi attivamente delle idee e quando invece aspetti che qualcun altro prenda l’iniziativa?

L’arte del job crafting: trasforma il lavoro che hai già

Ecco la buona notizia: non sempre è necessario cambiare completamente lavoro per allineare le tue preferenze con la tua realtà quotidiana. Esiste una tecnica chiamata “job crafting” che consiste nel rimodellare creativamente i tuoi compiti attuali per farli combaciare meglio con quello che sei veramente.

Gli studi di Berg, Dutton e Wrzesniewski mostrano che anche piccole modifiche nel modo in cui affrontiamo i nostri ruoli possono avere effetti significativi su soddisfazione e performance. Se ami il contatto umano ma il tuo lavoro è principalmente tecnico, puoi cercare opportunità di formare i nuovi colleghi. Se ti piace l’organizzazione ma il tuo ruolo è molto creativo, puoi proporre di sistemare i processi del team.

L’approccio della “sperimentazione controllata” è un altro strumento potentissimo. Invece di fare cambiamenti drastici basati su intuizioni, prova a fare piccoli esperimenti per un periodo limitato. Chiedi di partecipare a un progetto diverso per qualche settimana. Proponi di scambiare alcuni compiti con un collega per un mese.

Perché il futuro del lavoro premia l’autenticità

C’è un ultimo aspetto che vale la pena considerare, e riguarda l’evoluzione del mercato del lavoro stesso. La ricerca organizzativa degli ultimi anni mostra chiaramente che le aziende più innovative e competitive stanno sempre più premiando l’autenticità, la passione genuina e la capacità delle persone di portare il proprio “io” unico nel proprio ruolo professionale.

Secondo gli studi di Daniel Goleman sull’intelligenza emotiva, i professionisti che riescono ad allineare le proprie preferenze profonde con le loro attività quotidiane non solo sono più soddisfatti: sono anche più creativi, più resilienti e più capaci di innovare. Diventano quello che possiamo chiamare “vantaggio competitivo umano”.

La ricerca di Teresa Amabile sulla creatività nelle organizzazioni dimostra che la passione – intesa proprio come allineamento tra preferenze personali e compiti lavorativi – è uno dei principali motori dell’innovazione aziendale. Non è solo una questione di benessere personale: è una questione di valore professionale tangibile.

Quindi, la prossima volta che senti quel sottile senso di disconnessione tra quello che fai e quello che vorresti fare, non ignorarlo. Non è solo una sensazione passeggera: potrebbe essere il tuo sistema interno che ti sta mandando informazioni preziose sul tuo potenziale professionale ancora inespresso.

Le tue preferenze lavorative stanno già influenzando la tua carriera, che tu te ne accorga o no. La domanda è: vuoi che la influenzino in modo consapevole e strategico, trasformandole in un alleato per il tuo successo? O vuoi continuare a lasciare che operino nell’ombra, rischiando di sabotare silenziosamente il tuo futuro professionale? Il tuo potenziale professionale ti sta aspettando dall’altra parte di questa consapevolezza.

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